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Libri lettiRaymon Carver - Se hai bisogno, chiama Neil Gaiman - Coraline |
“And did you get what
you wanted from this life, even so?
I did.
And what did you want?
To call myself beloved, to feel myself
beloved on the earth”.
Raymond Carver – Epigrafe tombale
“La fine della fine” scrisse Tess Callagher, moglie di Raymond, parlando di questa raccolta formata da cinque racconti inediti, ritrovati nel corso degli anni e pubblicati nel 2000. Già, perché Raymond Carver è morto, e sono ormai quasi vent’anni. Per quanto mi riguarda, fortunatamente non è ancora la fine, dato che devo leggere ancora molto di quello scritto da Carver, però capisco quello che intende la sua compagna, non ci sarà più qualcosa di nuovo scritto da lui, potrà rileggere tutto quello che vuole quando e quanto le farà piacere, ma non avrà mai più la sensazione, la magia, di una prima lettura. E ora capisco anche perché Desmond, di lost, aspetti a leggere Il nostro comune amico, non tanto per farlo come ultima cosa prima di morire (andiamo, sarebbe poco pratico e difficilmente attuabile), ma perché è l’ultimo libro di Dickens, poi li avrebbe letti tutti, e questo comporterebbe un senso di vuoto incolmabile, come dover dire addio a un caro amico.
La voce di Carver è distaccata, crudamente e crudelmente sincera, persino spietata. Parla sempre delle stesse cose, la lotta contro l’alcolismo, la fine di un amore, qualcosa che si incrina, e la solitudine costante che caratterizza ogni suo racconto. Ma dentro pochi argomenti c’è un mondo intero, quello che tanto piacque a Robert Altman e che rappresentò in America Oggi, è l’america dei perdenti quella che ci mostra, quella che non ha mai conosciuto il suo sogno. Sentirsi amati, questo conta per Carver, questo è ciò cercano tutti i suoi personaggi.
Se penso a quello che disse pochi mesi prima di morire, “ho ancora tanti pesci da pescare e storie da raccontare”, non posso non pensare che sì, ora farebbe comodo un modo per chiamarlo, ne avremmo bisogno.
Caroline, pardon, Coraline è un libro delicato e leggerissimo, si legge in un paio d’ore. La cosa che mi ha colpito è l’essermi ritrovato più volte nel corso della lettura a pensare “mi piacerebbe farne un film”. Henry Selick mi ha purtroppo anticipato, vabbè glielo perdono visto che condividiamo lo stesso nome e ha almeno un precedente da regista degno di nota (anche se in quel caso c’era uno zampino non del tutto trascurabile).
Non sfigura se paragonato agli altri libri di Gaiman, pur essendo meno ambizioso.