sabato 30 dicembre 2006

Un buon non nuovo anno. A chi? a te! a me?

Domani è l'ultimo dell'anno, non so ancora cosa faremo e non me ne preoccupo, lascio fare ai miei amici.
Le persone realmente si divertono a festeggiarlo? io starei volentieri a casa, se non fosse che devo pur mantenere qualche amicizia e un minimo di vita sociale.
Il mio obiettivo, come ogni anno, è trovare l'angolo più buio della casa/piazza/locale, ubriacarmi ed entrare in catalessi, salvo avere pochi attimi di lucidità per imprecare, tirare qualche peto e scomodare qualche santo.
Ahh... se fossi un grande artista, di quelli maledetti, penserebbero di me: "che animo sensibile!", "si porta addosso tutta la sofferenza del mondo" e "bla bla bla..."; e via, reggiseni che volano, cocaina e orgia collettiva.
E invece verrò preso per un povero pirla, buttato nell'angolo a biascicare frasi senza senso e parlare con il bicchiere chiamandolo Jack (e no, non ci sarà dentro whiskey invecchiato trent'anni, fa schifo).

Un nuovo anno, che palle.

giovedì 28 dicembre 2006

Processi mentali

Processi mentali offuscati da una cortina di nebbia.
Nebbia per lo più costituita da sei birre e una bottiglia di vodka.
La giornata comincia all’alba, quasi coincidendo con la fine della serata, una corsa al bagno, un sapore acido e impastato in bocca.
Il ricordo sbiadito di fatti accaduti in una vita che sembra non appartenermi. La smania di apparire integrati in una società in fondo disprezzata viene dispersa in parte con i succhi gastrici finiti nel cesso.
Un urlo agghiacciante, il mio.
Un vago ricordo riemerge. Un mostro sopito, sotterrato da litri d’alcool e fumi etilici, risale, e aprendosi un varco mi afferra, trascinandomi attraverso porte serrate dal tempo, le cui chiavi si speravano perse.
Improvvisamente il mostro si ferma e si allontana lentamente, abbandonandomi solo nel labirinto di stanze.
Un’immagine spaventosa e improvvisa mi affiora negli occhi.
Ancora un urlo, stavolta più forte, e accecato cerco freneticamente qualcosa sul tavolo, la trovo a tentoni rovesciando metà del contenuto, l’afferro più saldamente e mi ci aggrappo avidamente, rituffandomi nell’oblio e annegandovi i miei ricordi.
Nessun grido ora, solo un ubriacone disteso sul letto sfatto, con gli occhi spenti e un mostro pronto a riemergere dietro di essi…

venerdì 15 dicembre 2006

Carla

Voglio inaugurare questo blog (dai, il primo post non era serio...) con un racconto datato marzo 2003. Alcuni lo avranno già letto, per altri sarà una (spero piacevole) novità.
Ho scelto un racconto così vecchio non perché non ne abbia più scritti altri da allora, ma semplicemente perché riesco ancora a sentirlo dopo tutti questi anni.

In un attimo tutto è finito, noi due distesi sull’erba, stupefatti, inorriditi.
Sono sudato, nonostante non sia la prima volta che mi capita non riesco mai ad essere pronto.
Carla piange, sputa e si incazza, seduta sul ciglio della strada, Carla che sputa per terra da quando era bambina, sputa per: “liberarsi del sapore amaro della sua vita”, dice lei. Alle elementari sembrava un maschiaccio, mani in tasca e sempre a sputare, i compagni la prendevano in giro.
La stessa Carla che ora è una donna e sputa sul mondo, su tutto ciò che la fa incazzare, su tutto ciò che le fanno fare.
Quando le dici “Carla ma lo sai che arrabbiarsi non serve a nulla… non cambia nulla” lei ti sorride, un sorriso sprezzante, e risponde: “sì, ma almeno quando sono incazzata non riesco a pensare lucidamente”.
Continua a sputare Carla, continua a incazzarti se questo non ti fa pensare, perché ho paura delle conseguenze di un tuo pensiero. Certo, raggiungeresti il tuo obiettivo senza difficoltà, ma probabilmente il tutto si trasformerebbe in una reazione nucleare, porteresti via con te quasi tutto, ed è questo che mi spaventa.
Quindi piange, sputa e si incazza. Io rimango a guardarla per ore, immobile, seduto sul ciglio della strada, sperando.
Poi si alza, si gira e mi guarda, gli occhi bagnati di lacrime e negli occhi quell’incazzatura che non l’abbandona mai, i pugni chiusi lungo i fianchi, le dita a stringersi fino a diventare bianche.
Si è morsa il labbro. Un rivolo di sangue le cola sul mento.
Mi guarda, sta parlando. Vedo che muove la bocca, ma non sento quello che dice, le chiedo di ripetere, non mi ascolta e allora capisco. Parla con se stessa. Sta lottando.
Ci ritroviamo di nuovo nel buio, nell’inferno della sua mente con quelle urla distanti.
Perde.

martedì 12 dicembre 2006

Amore forse il mercoledì

però poi riposo